4 STATI, DUE CONTINENTI E DUE ANIME DIVERSE ALLA RICERCA DI SE STESSE
L’indomani ci siamo svegliati presto, sotto le fini nubi grigie della capitale malawiana. Ormai è un dato di fatto: non esiste capitale che riesca ad accogliermi col Sole! E’ come se dovessi conquistarmi quella maledetta palla di fuoco giorno per giorno ad ogni nuova partenza!
Pagu nel frattempo ancora non aveva conosciuto la pioggia. Si svegliò con l’alta marea, sommerso da litri e litri di oceano. E per la prima volta nella sua vita (in effetti era appena il suo secondo giorno di vita da paguro!), vedeva sopra la massa d’acqua nella quale era immerso, ancora acqua! Stavolta però cadeva dal cielo sotto forma di piccole gocce e si stagliava sul mare creando incastri geometrici ipnotizzanti! Pagu stette a lungo ad osservare la pioggia cadere e la vide formare tanti anelli intorno a sé nell’atterraggio sull’acqua, anelli che puntualmente svanivano in fretta…però lasciavano nell’Oceano un profumo nuovo ed una certa “agitazione”: c’era un po’ più di corrente nella pozza sommersa…Stavolta però Pagu si teneva il suo guscio ben stretto: stette ad osservare lo spettacolo della pioggia al riparo della sua nuova ed inseparabile casa…Pagu era felice: la vita era emozionante!
L’Oceano Indiano e la sua barriera corallina.
Siamo partiti col nostro pullman scassato verso il confine. Ci siamo fermati alla frontiera e siamo stati trattenuti per ore da assurde pratiche burocratiche…Timbro, visto, timbro, tassa, timbro, foglio, modulo, timbro, ecc. ecc… sembrava non finire mai questo agognato passaggio in Zambia! Ed oltre a questo c’era da pensare al gruppo che aveva fame, ai soldi da cambiare, al bagno da trovare…
Il tragitto è stato lungo. Il traguardo: la porta d’ingresso del famoso South Luanga National Park! Siamo arrivati col buio, stanchi per i chilometri di buche e polvere rossa da respirare. Il campeggio era nascosto tra strade impervie ed acacie fitte. E’ stato proprio davanti all’ingresso, finalmente scovato nell’oscurità, che davanti a noi sono apparsi mamma ippopotama col suo piccolo! Entrambi brucavano indisturbati l’erbetta sul ciglio della strada battuta!
Non so se fosse giusto aver paura o semplicemente fosse solo suggestione. Sentivo di dover scendere: il mio gruppo si aspettava da me coraggio e determinazione…Non avevo gusci in cui ripararmi all’occorrenza…Comunque, fatto sta che nonostante i due ippopotami (che, ci crediate o no, sono forse gli animali più pericolosi ed imprevedibili della savana!), sono scesa dal bus, ho attraversato il cancello e sono entrata in reception al sicuro: venti metri di paura!!! Ok, ammetto di non essere stata sola…e sono fiera di poter dire che con me sono scese altre 6 persone che, fianco a fianco, hanno spartito con me la paura…La paura si sa, può subire variazioni sostanziali se vissuta in gruppo, e nel giusto gruppo la variazione consiste nella sua diminuzione. Non so se questa paura sia stata ragionevole o solo legata al momento, alla stanchezza, ai mille e mille pensieri che ti fai nella testa quando sai che hai le gambe troppo deboli per poter scappare all’occorrenza…
Un ippopotamo sulla terraferma può raggiungere alte velocità e per questo è molto più pericoloso di un ippopotamo in acqua.
Il campeggio era pieno. Abbiamo montato le tende al buio, abbiamo cenato e poi abbiamo a lungo chiacchierato. Non si vedeva niente in quella notte senza Luna. Senza luce non riuscivo a scorgere nemmeno il tavolo su cui mangiare. Potevamo soltanto sentire i mille suoni dell’oscurità: sapevamo di essere circondati dalla savana selvaggia, ma non avevamo alcuna idea di quale fosse il panorama al quale si sarebbe affacciato il nostro sguardo l’indomani. Nella notte tanti suoni, tanti rumori, tanti versi sconosciuti…ecco che riconobbi un ippopotamo…e poi i passi silenziosi di un elefante…mi pare…qualche zoccolo…Non so…
Ho scoperto la mia innata propensione alla perfetta reazione alla paura da savana in notturna nel 2010, quando, circondata dai ruggiti dei leoni, mi sono convinta che se fosse successo qualcosa, sarebbe stato meglio farla succedere durante il mio sogno: almeno non mi sarei accorta di niente! Da allora, appena sento suoni sospetti dal debole riparo della mia tenda durante la notte africana, mi addormento istantaneamente: li sento, li distinguo e poi crollo in un sonno profondo che almeno in apparenza mi protegge da ogni male e in sostanza mi protegge probabilmente dal dolore… In fondo forse, di tutta la vita, è il dolore che mi fa paura, non la morte…
Pagu, al riparo della sua conchiglia, fu sballottato a lungo per il fondale mentre osservava la pioggia cadere. Appena arrivava la corrente, lui si rannicchiava dentro lesto lesto e vi rimaneva finché non si sentiva fermo. Poi la marea cominciò a scendere e lui poté ricominciare a camminare tra le pozze e gli scoglietti, osservando le gocce di pioggia, ormai infragilite da un principio di cielo sereno, non più dal basso…
Pioggia tropicale…
Pagu non pensava alla morte. Un paguro non riesce neanche a visualizzare il concetto di morte, come ad un essere umano sfugge l’infinito: non si può! Per quanto ci si possa sforzare, tutto quello che noi umani riusciamo ad immaginare ha un inizio ed una fine, possiamo ipotizzare che queste non esistano, ma non riusciremo mai a cancellarle dalla nostra mente. E così Pagu non immaginava la morte, lui conosceva solo l’infinito. L’oceano, la sabbia, il cielo: tutte entità talmente vaste per il suo piccolo corpicino, che si avvicinavano molto al nostro concetto di infinito. E così non riusciva ad immaginare qualcosa di finito, come la vita e la morte.
Love it! 🙂