Introduzione
Ancora oggi non so cosa spinge una qualsiasi persona ad intraprendere un viaggio nel deserto. Io personalmente non ho ancora ben precisa la motivazione che mi ha spinta la prima volta, e non so cosa mi abbia spinta a tornarci: il fatto è che comunque ci torni, catturato da un indefinito senso di appartenenza ed al contempo di estraneità che pervade il ricordo di quel viaggio.
E così, quando Maria e Silvia mi hanno chiesto di coordinare questo viaggio, non ho potuto fare a meno di esserne inconsapevolmente contenta!
I primi partecipanti hanno cominciato timidamente a chiamarmi ed io, memore della pregressa esperienza, ho parlato subito a loro della mancanza di acqua, della cucina da campo, del montare e smontare le tende ogni giorno, del “caldo caldo caldo” di giorno e del “freddo freddo freddo” di notte… Qualcuno si è spaventato, altri invece si sono iscritti, anch’essi attratti da qualcosa di indefinito ed indefinibile. Per telefono più volte mi hanno chiesto: “Ma perchè trascorrere 8 giorni nel deserto, cosa c’è da fare???”…Sinceramente non sapevo cosa rispondergli: il deserto è diverso! Non è un luogo in cui si va per “fare” o “vedere” qualcosa (non soltanto per lo meno!): il deserto è una sensazione da vivere, da scoprire giorno per giorno… Il deserto è deserto: è vuoto! Ha una caratteristica principale: l’immensità, lo spazio. E di questa ti riempi ad ogni risveglio. La vastità di cui diventi parte s’insinua dentro di te e ti sovrasta, ti conquista, ti implode dentro con l’armonia di una grande entità. Il deserto è silenzio, silenzio vero: quello che non hai mai sentito in vita tua… Deserto è pace o, meglio, contatto con te stessa.
Sia chiaro: non voglio fare discorsi da invasati, sensitivi o chissà cosa. Ma il deserto è davvero un luogo a sè, inspiegabile a coloro che lo hanno attraversato solo per una notte!
Il capo delle nostre guide!
Incipit
Ci troviamo in aeroporto pronti per affrontare i prossimi 11 giorni insieme e con gli zaini ridotti al minimo per portare con noi anche la cassa cucina. Il viaggio è breve (con gli ovvi e consueti ritardi delle compagnie aeree tunisine!), e ci ritroviamo a Djerba per cena. E’ calma. Oggi attendiamo solo il domani. La vera partenza…
Alì, il “capo” delle nostre guide, ci smista nei fuoristrada lavati e lucidati di giornata. Sistema i bagagli insieme a Mohamed, Edhi, Mohamed ed il cuoco: Mohamed…dovremo trovare uno strattagemma per chiamare i 3 Mohamed in maniera diversa!!!
La mattinata si dipana per mercati, supermercati ed alimentari di ogni genere: facciamo la spesa nei negozietti più invitanti e decidiamo che il cuoco sarà il nostro eroe solamente per le prelibatezze locali che ci fa assaggiare e comprare!
Lungo la strada ci sgranchiamo le gambe attraversando un chott: un lago salato tipico di questa zona. Il gruppo esce intimidito dalle auto, e stralunato si avventura calpesanto la bianca sponda del lago…
Un tipico “chot” (lago salato), e lo Ksour di Garmassa (villaggio abbandonato di pietre e fango)
Ripartiamo e cominciamo ad intravedere il deserto dai finestrini…ci fermiamo a Garmassa e dopo un panino, ci incamminiamo ad ammirare lo spettacolo di questo maestoso ksour! Lo Ksour altro non è che un villaggio abbandonato fatto di fango, mattoni e mura bianche e scarsamente decorate di azzurro. Il silenzio è interrotto solamente dalle folate di vento freddo proveniente da nord e dintorno si dipana il deserto nella sua vastità.
E’ ora di ripartire: l’oasi di Ksar Ghilane ci attende! Piantiamo le tende poco distanti dalla piccola oasi (qualche duna più in là) e poi ci immergiamo nelle calde acque sulfuree circondate da due piccoli bar che offrono il buon tè caldo del viaggiatore beduino. Il gruppo si rilassa, beve tè nella scura serata prima di tornare al campo per la cena. E’ difficile immaginare per loro i giorni a venire, come saranno e cosa succederà, da quali fattori saranno scandite le giornate e perchè muoversi di duna in duna alla ricerca della duna successiva…
Piccoli arbusti tra le dune
Vita nel deserto
L’indomani diventa un susseguirsi di giorni e notti senza tempo, senza riferimenti, senza interruzioni tra deserti e deserti di forme diverse. E senza confini.
Inizia il deserto piatto…
Le notti trascorrono rigide, cadenzate da strati di coperte ed indumenti sempre più caldi da indossare dentro al sacco a pelo, mai abbastanza caldo da sentirsi al riparo. Fa freddo. E’ difficile trovare il coraggio di uscire dal proprio guscio per espletare qualche bisogno o far foto all’alba. Si dorme completamente coperti, naso ed occhi inclusi: guai a lasciare un pezzo di pelle scoperto!
La mattina ci risveglia, rigida, con un sole nascente senza fretta, pronto a mostrarci lo spettacolo dell’aurora che si rinnova ogni giorno indisturbato, tra le dune e gli arbusti. La sabbia è coperta da un bianco manto di brina che ricopre le ombre e luccica, come se giocasse, tra i primi raggi solari. Il fuoco acceso da Mohamed si circonda di noi, in attesa di riempire lo stomaco con il pane che lento e sapientemente lavorato cuoce sotto la sabbia.
Al mattino svegliarsi e trovare la brina a coprire ogni duna…
Le tende si smontano, le jeep si riempiono, la spazzatura si brucia ed è ora di ripartire…
Ad ogni partenza si ha sempre l’impressione di aver dimenticato qualcosa nascosta sotto la sabbia, e al contempo si ha anche l’impressione di averla volontariamente abbandonata: qualsiasi cosa sia! Niente è più necessario…a parte il sacco a pelo, la tenda, il cibo, la macchina fotografica e il diario di bordo!
Ogni partenza è l’inizio di un nuovo viaggio: non sai mai cosa succederà, quali saranno gli imprevisti da affrontare e come saranno superati!
Le auto ondeggiano tra le dune trasportandoci come barchette a vela nel grande mare di sabbia (in fondo, non è forse questo il significato della parola “Sahara”?!): lo stomaco si abitua presto al saliscendi continuo delle dune, ma al contempo la mente continua a provare meraviglia, stupore, a volte timore, di fronte all’ennesimo picco sabbioso che oscura la visuale di ciò che può essere al di là. Gli autisti testano le auto e creano la pista, spesso la sabbia è più morbida del previsto e allora ci fermiamo con le auto bloccate in posizioni quanto mai “creative”. E ad ogni sosta imprevista, i nostri autisti beduini guardano la situazione, accendono con calma una sigaretta e poi cominciano a scavare la sabbia per togliere l’auto da quella nuova esilarante, assurda posizione.
Piccoli guasti lungo il percorso sono cosa normale e all’ordine del giorno in un viaggio di deserto…
Il Sahara tunisino non presenta certamente un paesaggio vario, ma ha comunque un innegabile fascino che come calamita riempie gli occhi e i polmoni di chi lo vive. Schiere di dune si dipanano una dietro l’altra, intervallate da aree che potremmo definire “radure” pianeggianti: grandi spazi vuoti circondati da catene di molteplici piccole creste che accavallandosi l’una con l’altra formano vere e proprie montagne. La sabbia è fine e chiara, il clima arido (!), il suolo è spesso macchiato da piccoli arbusti secchi il cui mistero della vita sembra un incredibile scherzo della natura! E’ il silenzio. Il vuoto. L’immensità.
Immenso deserto
Ain Ouadette
In un giorno indefinito, tra la “montagna” di Tembaine e quella di Tataouine (che altro non sono che alte rocce piatte che si ergono dalla pianura desertica, sulle quali inerpicarsi e dalle quali osservare a 360° il vasto panorama), giungiamo ad Ain Ouadette (“Ain” = “lago”).
Scavalliamo una duna, poi un’altra ed un’altra ancora. D’improvviso le auto si fermano e gli autisti si voltano verso di noi dicendoci che si: ora possiamo proseguire “a piedi”! “A piedi???! Verso dove???!”. “In quella direzione” ci indicano.
Scavalliamo inconsapevoli l’ultima duna di questa ennesima catena, affondando i piedi nella sabbia, …e lo sguardo si ripopola di vita! In lontananza appare l’oasi sulfurea! E’ la vita! L’ oasi riempie improvvisamente gli spazi di colore, riflette le sagome di verdi canneti nel blu dell’acqua, a contrasto con le dune di sabbia rossa che tutto circonda! E’ bello! E non è possibile descrivere un’oasi nel deserto se non come un’oasi nel deserto! Sembra quasi di riprendere contatto con il mondo, come se l’acqua fosse davvero l’origine della civiltà!
L’oasi di Ain Ouadette lascia senza fiato con le luci dell’alba…
C’è gente in questo angolo di deserto. Altri rari avventurosi viaggiatori che trovano ristoro nella piccolissima pozza d’acqua. Contiamo altri 2 o 3 gruppi di viaggiatori accampati attorno all’oasi. Ancora non c’è il campo per la linea telefonica. Ancora non c’è un bagno con doccia per togliersi la sabbia di dosso. Ma questo posto sperduto infonde allegria a tutto il gruppo. Ci tuffiamo nell’acqua calda dopo giorni di salviette; godiamo senza ritegno di qualche chiacchera con nuovi sconosciuti, di una ritrovata pulizia e della pace di un nuovo tè caldo in uno dei due sconsolati bar che circondano la pozza (ovvio: inutile chiedere altro che tè…non bibite, non alcool, non cibo, non acqua, non doccia: solo tè beduino!).
L’indomani decidiamo di ripartire con calma per godere di questo luogo che sembra ricaricare i polmoni, sembra ossigeno…Il gruppo dorme fino a tardi ed io con Andrea ne approfittiamo per fare il giro completo attorno all’acqua, agli arbusti, agli accampamenti dormienti. Il Sole come palla di fuoco emerge lentamente da dietro le rosse dune ed illumina soffusamente i contrasti presenti. Il vapore sulfureo sale dall’acqua illuminato dai primi deboli raggi del giorno; dintorno il rosso della sabbia, il blu dell’acqua ed il verde delle piante si confondono coi fumi surreali. Tutto tace e tutto è contemporaneamente pieno di vita.
Riflessi lunari nelle acque dell’oasi all’alba…
Notturni
E così trascorrono le nostre giornate, tra ondeggiamenti ed affossamenti, riparazioni di auto e fotografie da scattare, camminate nella sabbia o brevi trekking sulle rocce. Il tempo e lo spazio si confondono, ogni cosa è scandita solamente dal Sole che ci ricorda quando mangiare e quando smettere di dormire.
Ogni sera ci accampiamo tra le dune dopo numerose elucubrazioni su quale sia la posizione migliore per ripararsi dal freddo.
Montata la tenda, si attende con calma la cena preparata dal sapiente cuoco Mohamed. C’è chi si incammina tra le dune alla ricerca di un tramonto, chi senza successo cerca di togliere la sabbia dallo zaino, chi si rifugia intorno al fuoco tra chiacchere e narghilè. I tempi morti sembrano non esistere: il deserto riempie ogni angolo di anima e la catapulta infine a sedere con una scodella di minestra calda tra le mani.
Il nostro campo tendato sulle rive dell’oasi sulfurea…
Cala la notte: inizialmente avvolta dal bagliore lunare poi, col trascorrere dei giorni, sempre più buia. Ci stringiamo intorno al fuoco per ripararci dal freddo penetrante e tiriamo fino a “tardi” (che in realtà non è mai così tardi come siamo soliti fare nelle nostre più temperate regioni) sorseggiando tè, fumando narghilè, parlando con i nostri beduini, cantando, ballando, ascoltando i suoni emessi ogni sera da un nuovo strabiliante strumento musicale, tirato fuori all’occorrenza dal fedele Edi. La notte sembra tirar fuori l’anima giocosa di ognuno: c’è chi propone ancestrali canti scout e chi finte rappresentazioni di festival musicali. Non c’è noia: il fuoco ci ipnotizza ed il silenzio circostante ci fa quasi sentire a casa, ogni notte, tra la Luna e le stelle che abbondanti inondano un cielo imponente. C’è chi si improvvisa guida stellare e ci conduce tra la nebulosa di Orione e la coda dello Scorpione come possedesse il mistero del Nulla che tutto circonda…e noi, incantati da tale maestà, dimentichiamo per un attimo persino il freddo…
Il fuoco diventa brace e la brace ci spinge verso i nostri sacchi a pelo. Il freddo insopportabile e invadente diventa l’oggetto dei nostri sogni, il rifugio di ogni dubbio: “avrò fatto la scelta giusta tornando a visitare questo “mare di sabbia”???!” Fortunatamente ogni mattina, con una nuova aurora che risplende sulle dune ghiacciate, la domanda trova risposta, i dubbi svaniscono ed il deserto torna ad esserci amico…
Le tende sulla sabbia non sono facili da piantare…ma il panorama al risveglio vale tutta la fatica!
Ottavo giorno
L’ottavo giorno di viaggio è l’ultimo giorno del nostro Sahara.
Ci svegliamo e come sempre facciamo colazione con calma. Smontiamo il campo e ci dirigiamo verso Tembaine. Le auto ci lasciano ai piedi della montagna, vicino ad un bar (come al solito provvisto di solo tè e Cocacola!) che questa volta ha anche un bagno (utile per le foto, ma che nessuno utilizza: ormai siamo tutti felici di espletare i nostri bisogni tra le dune!!!). Ci incamminiamo verso la cima della montagna e con un brevissimo trek siamo sulla cima dalla quale si gode di un panorama a 360° sull’intera vallata: straordinario! Facciamo qualche foto e ci fermiamo ad ascoltare il silenzio… Scendiamo e prendiamo l’ennesimo tè al bar tra chiacchere e risate. Nel frattempo gli autisti hanno trovato un cespuglio dove si prende il campo per il cellulare dopo ben 5 giorni di completo isolamento!
Dopo qualche catena di dune, la strada diventa una pista battuta ed anche vagamente percorsa da qualche fuoristrada. Arriviamo in una serie di dune alle porte di Douz e montiamo il campo. Ceniamo con nuova carne comprata per l’occasione, come sempre cantiamo e chiaccheriamo, e poi andiamo a nanna per l’ultima notte nel deserto tra le dune e le stelle.
Piccole alture fanno apparire grande il mondo quando intorno è tutto piatto!!!
Douz
L’indomani ci svegliamo presto, smontiamo un’ultima volta le nostre tende, mangiamo l’ultimo pane cotto nella sabbia ed ammiriamo l’ultima alba dalla cresta di una duna. E’ il giorno del gran mercato degli animali a Douz!!!
I primi passi ci mostrano una cittadina interessante, scarsamente contaminata e molto caratteristica. Douz è lo schiaffo di realtà, è un ritorno al respiro: una cittadina sospesa tra il mondo in cui siamo soliti vivere e la consuetudine del nulla. Un abituale nell’insolito, una novità nel consueto.
All’inizio del viaggio nessuno si era accorto di usanze che lentamente si allontanavano dalla nostra routine. Ma al primo tocco d’asfalto (o quanto meno di terra battuta), d’improvviso, la soffice sicurezza di un piede protetto dalla sabbia è franata: ci siamo sentiti scoperti nel passo e nell’anima. Quel nulla fatto di polvere di antiche rocce, d’improvviso sembrava non proteggerci più…come se fino ad allora, silenziosamente e senza farsene accorgere, avesse vegliato sui nostri passi con muta protezione…
Ma Douz ci sveglia protetta nelle sue mura da una tempesta di sabbia. Il mercato coinvolge tutta la città ed ogni genere di prodotto che si possa non solo comprare, ma anche immaginare. Si vendono polli e babbucce, cammelli e dentifricio, kaftani e conigli, arieti (veri) e limette per unghie…Le strade (che in realtà altro non sono che vicoli e slarghi di terra battuta) pullulano di persone indaffarate e anche noi ci facciamo travolgere (è come riemergere!) nell’inebriante rituale della contrattazione.
Commercianti a Douz nel giorno del mercato…
A mezzogiorno decidiamo di ripartire per raggiungere la zona delle rose de sable…Si tratta di una distesa di sabbia (come le altre in apparenza) cosparsa di rose del deserto di tutte le forme e dimensioni! Con la sabbia negli occhi dovuta alla tempesta che imperversa, nessuno rinuncia a fare la sua personale raccolta (a Douz le rose del deserto si vendono, ma quì sono tutte gratis ed è assolutamente legale coglierle)! E a noi appare romantico: come lo stesso dono vegetale d’occidente …torniamo verso Douz con gli zaini carichi!
La sera cala silente per i vicoli di Douz, il deserto è vicino, e con esso il suo silenzio. Poca gente per le strade e noi torniamo in albergo (e non in tenda da stanotte) carichi di una nuova nostalgia.
Rientro
Il mattino seguente ripartiamo senza fretta: comincia il rientro. Condiamo il percorso con soste varie a case troglodite, set cinematografici e tè sempre indimenticabilmente buoni, ma il traghetto per Djerba ci avvicina inesorabilmente all’aeroporto…Il mare vicino ci accoglie, i bagagli si rimontano con forza bruta e precisione, si consumano frenetici gli ultimi acquisti e gli utlimi passi, stavolta sull’asfalto…Le nostre guide già ci mancano, ci mancano i nostri granelli di sabbia sparsi in ogni angolo dello zaino, ci manca il non aver bisogno di altro che del nostro zaino…e forse di un sacco a pelo più pesante!
Ancora una volta grazie, al deserto e ai compagni di viaggio: SHUKRAN (o, come diceva qualcuna: sciakram!!!)!